La band più rumorosa di tutte

Deep Purple, indimenticabile band da 100 milioni di dischi venduti in tutto il mondo


I Deep Purple si sono formati nel 1968. Insieme a gruppi come Led Zeppelin e Black Sabbath, sono considerati fra i principali pionieri del genere Hard Rock e tra i precursori dell’Heavy Metal. Hanno venduto più di 100 milioni di copie di dischi nel mondo. Il gruppo venne inserito nel Guinness dei primati come band più rumorosa del mondo a seguito di un concerto al Rainbow Theater di Londra durante il quale tre spettatori persero conoscenza a causa dei 117 dB raggiunti. Nel 2016 sono stati inseriti nella Rock and Roll Hall of Fame. Questa mattina alle ore 11:00 il programma Heroes dedicherà una playlist ai mitici Deep Purple (Massimo Salvau).


La band si forma attorno all’organista Jon Lord ed al chitarrista Ritchie Blackmore, entrambi vengono da una formazione musicale di stampo classico e sono affascinati dal neonato pop sinfonico di Moody Blues e Vanilla Fudge, ma ancor più forte è l’attrazione per il rhythm & blues americano, condivisa con gli altri componenti: Ian Paice alla batteria, Rod Evans alla voce e Nick Simper al basso. Così i primi e acerbi dischi Shades of Deep Purple e The Book of Taliesyn cercano di conciliare queste influenze, con risultati poco più che modesti. Il successivo disco omonimo (1969) rappresenta un netto miglioramento: brani convincenti, ben costruiti e suonati con una carica nuova. Il tour che segue la pubblicazione di “Deep Purple” è un successo di pubblico, ma Lord e Blackmore intuiscono che per migliorare ancora bisogna ritoccare la formazione: vengono estromessi così Simper ed Evans, ed entrano rispettivamente Roger Glover e Ian Gillan. La scelta si rivela azzeccata fin dalle prime esibizione della nuova line-up, che poi resterà nota come Mark II: Glover è un bassista dallo stile sobrio, in grado di assorbire con solidità le lunghe fughe solistiche che i due leader amano proporre dal vivo, mentre Gillan è un interprete di gran talento nonché un valido frontman. Così assestata, band diventa una vera e propria “macchina da concerti”, testimoniata da roventi bootleg ancora oggi di facile reperibilità. Ma quando la band sembra lanciata ai vertici del rock duro, a sorpresa Jon Lord si getta su un suo progetto ambizioso quanto coraggioso: un concerto sinfonico per gruppo e orchestra, che si tiene nel settembre del ’69 alla Royal Albert Hall di Londra. Lord si occupa della scrittura e dell’arrangiamento dell’orchestra (per l’occasione viene scomodata la Royal Philharmonic Orchestra), mentre al gruppo è lasciato poco spazio. Complessivamente il concerto è godibile e regala momenti avvincenti.

Messa da parte l’esperienza sinfonica, nel 1970 viene pubblicato il celeberrimo Deep Purple in rock, un vero capolavoro, che risulta essere un disco di grande energia e ricco di splendide canzoni. Il suono è volutamente grezzo e ruvido, ma il tutto è curato con notevole gusto. Il tour che segue consacra i Deep Purple a vertici della scena rock britannica. Ma il gruppo non si adagia sul successo ottenuto, e quando nel ’71 viene pubblicato Fireball, si notano subito dei tentativi di cambiamento. Il tentativo di raffinamento riesce ancor meglio con Machine Head (1972): “Maybe I’m a leo” e “Lazy” riprendono con grazia i canoni del blues e mostrano un Blackmore a suo agio sia quando deve graffiare, sia quando deve ricamare assoli delicati. Anche Gillan, qui alla sua miglior prova, si muove con agilità e sicurezza fra vocalizzi arditi. Si parte per una nuova tournée mondiale, che tocca anche il lontano Giappone: dalle tre date in terra d’Oriente viene tratto il celebrato Made In Japan, doppio album dal vivo che riprende il gruppo in un autentico stato di grazia, diventando in fretta uno dei dischi più popolari del rock.

Il successo travolge il gruppo e fa lievitare le pressioni e le tensioni al suo interno: in questo clima nasce Who Do We Think We Are? (1973), disco solitamente considerato minore, ma comunque molto buono e che rappresenta un ulteriore sviluppo nella ricetta musicale dei Deep purple. A ogni modo, poco dopo la fine delle registrazioni, Gillan e Glover lasciano il gruppo per lanciarsi nelle rispettive carriere soliste. Blackmore e Lord non perdono tempo e sostituiscono i due defezionari con un sol colpo, chiamando nel gruppo il giovane cantante e bassista Glenn Hughes, che aveva già maturato una discreta esperienza nei Trapeze. In tal modo la formazione sarebbe di per sé già completa, ma l’entourage che circonda la band preme perché venga mantenuta la formula a 5 elementi: così entra un secondo cantante, David Coverdale. Agli inizi del ’74 esce Burn. L’intenzione è quella di tornare sulle orme di In Rock, con un suono più grezzo e un piglio più istintivo nell’esecuzione. Effettivamente “Burn” è un buon disco. Tuttavia qui s’interrompe la stagione di evoluzione della formula musicale dei Deep Purple, che d’ora in poi si limiteranno a ripetere all’infinito percorsi già tracciati negli anni precedenti. Probabilmente Lord e Blackmore se ne accorgono, e nell’immediatamente successivo Stormbringer tentano un improvviso cambio di rotta verso sonorità funky  e si cimentano in alcune ballate ma si avverte una certa stanchezza compositiva. Ritchie Blackmore, insoddisfatto dai risultati di Stormbringer, abbandona il gruppo per formare i Rainbow: i Deep Purple perdono così il loro leader principale, e molti pensano che senza lo stile inconfondibile del chitarrista, il gruppo sia destinato all’epilogo. Invece nel ’75 viene rilasciato il buon Come Taste The Band, con alla chitarra il semi-sconosciuto Tommy Bolin. Nonostante il cambio di formazione, il risultato non cambia in modo significativo: ormai i Deep Purple non riescono a essere che una copia di loro stessi. Ma la crisi è ormai irreversibile, e dopo il consueto tour, la band annuncia lo scioglimento. Intanto viene pubblicato un altro disco dal vivo, Made In Europe, con registrazioni dei concerti del ’74 e contenente esecuzioni di alcuni fra i brani più recenti. Negli anni seguenti verrà pubblicata una numerosa schiera di dischi antologici e di altri ancora registrati dal vivo, alcuni dall’utilità piuttosto dubbia. Da qui in poi tanti altri album ma alla fine i veri Deep Purple non ci sono più. Ci rimarrà il ricordo di una fantastica band dalle caratteristiche e dal sound unico.