Il buio in superficie

Breve storia a puntate di Kopro, giovane blatta alle prese con la realtà

Gentile lettore,

Ecco il nostro Kopro, lì dove lo avevamo lasciato. Proprio mentre è più convinto di essere al sicuro, si imbatte nel primo pericolo della sua nuova avventura.

Illustrazioni e logo della striscia illustrativa a cura  di Michele Marescutti
Grafica a cura di Davide Martello

1, LO STRANO AMMASSO DOLCIASTRO

L’istinto primario fu quello di lasciare la presa, ma gli bastò provarci per accorgersi di essere come preso in trappola dal suo stesso pasto.

Rimase sul posto per qualche ora, ad aspettare la notte, come il vecchio G gli aveva suggerito. Teso tra la tentazione di lanciarsi nel vuoto per tornare a casa, e la voglia di esplorare quel nuovo mondo, con tutti i suoi pericoli e le contraddizioni. Nella mente il vivo ricordo del vecchio amico, offuscato dalla consapevolezza che difficilmente lo avrebbe rincontrato. La malinconia pervase ogni fibra del suo essere, ci si abbandonò senza resisterle, sommerso da quei ricordi così vividi e vicini, poi capì: non poteva permettersi di cedere a quel sentimento, o tutto il lavoro fatto sarebbe andato perduto irrimediabilmente. Decise quindi di conservare il prezioso ricordo del suo maestro dove avrebbe potuto consultarlo in ogni istante, in un angolo sicuro della sua memoria, lontano dal dolore, dalla paura e dall’egoistica pretesa di non esser mai lasciati soli. Capì che certi sentimenti potevano essere figli dell’angoscia stessa, o, peggio ancora, dall’incapacità di prendere decisioni in totale autonomia, contando esclusivamente su sé stesso.

La notte non sembrava avere troppa voglia di arrivare, e la fame cominciò a farsi sentire con insistenza sempre maggiore. Fu quando raggiunse l’apice che notò una pallina rosa cadere a pochi centimetri da lui. Emanava un odore dolciastro e fruttato, che sembrò arrivargli allo stomaco vuoto ancor prima di passare per il cervello. Ci si avvicinò velocemente, inspiegabilmente attratto e mosso da una violenta quanto razionale ingordigia. In men che non si dica mandibole e zampe anteriori affondarono in quella poltiglia, e la sua bocca si riempì di quei deliziosi umori. Si sentì inebriato, una fortissima sensazione di benessere lo pervase totalmente, mettendo alla porta ogni brandello di razionalità. Restò avidamente avvinghiato alla massa per alcuni minuti, il mondo attorno sembrava non esistere più, sostituito da un’accozzaglia di rumori confusi e immagini annebbiate, poi arrivò la sazietà. L’istinto primario fu quello di lasciare la presa, ma gli bastò provarci per accorgersi di essere come preso in trappola dal suo stesso pasto. Le setole delle zampe anteriori erano totalmente appiccicate a quel gommoso ammasso rosa, le mandibole conficcate talmente bene da sembrare quasi inglobate, tanto da consentirgli a malapena di respirare.

L’angoscia prese il sopravento. Cominciò ad agitarsi senza sosta nel tentativo di liberarsi da quella morsa opprimente. Trascorsero alcuni interminabili minuti, nell’arco dei quali anche una delle zampe centrali rimase catturata nel tentativo di spingere lontano quell’appiccicoso agglomerato. Finalmente la razionalità sembrò fare ritorno, imponendogli di fermarsi e riflettere sulle diverse variabili in campo. Era evidente che stesse rischiando la vita, allo stesso modo lo era il fatto che, senza una dovuta disamina, quel rischio si sarebbe presto tramutato in certezza. La prima riflessione lo condusse all’ironia della situazione: il suo pasto, ciò che lo aveva liberato dall’oppressione della fame, scongiurando l’eventualità della morte per inedia, si era tramutato nella sua possibile condanna a morte. Le zampe ormai erano inservibili, ad eccezione delle tre rimaste libere che si configurarono come la sola speranza di mobilità rimasta. Un’intuizione sembrò infondergli coraggio, se avesse liberato le mandibole avrebbe potuto provare a rosicchiare la parte superficiale, quella direttamente a contatto con le setole delle zampe, e liberare poco per volta gli arti immobilizzati.

La notte era arrivata, assieme ad essa l’ora di abbandonare il nascondiglio.

Piegò le zampe anteriori verso di se e spinse fortissimo verso l’esterno. Con notevole sforzo le ganasce fuoriuscirono da quella poltiglia, procurandogli un dolore fortissimo, che gli diede la viva impressione che potessero staccarsi. Con la testa finalmente libera prese un respiro profondo, l’aria pulita gli diede nuovo vigore, quell’odore dolciastro, che inizialmente lo attraeva, si era velocemente trasformato in un nauseante olezzo. Rosicchiò lentamente intorno alla zona delle zampe anteriori, e si accorse che alcune setole sarebbero andate irrimediabilmente perdute, era il prezzo da pagare per la sua incoscienza. Finalmente libero da quella opprimente palla gommosa si allontanò, per cercare di ripulirsi sfregando il muso sulla parete. Una volta completata l’operazione si voltò per guardarla e un pensiero attraversò la mente finalmente restituita alla ragione: «Il pericolo è sempre vivo e vigile, anche quando si resta immobili nel tentativo di non farsi trovare… meglio darsi una mossa!». La notte era arrivata, assieme ad essa l’ora di abbandonare il nascondiglio.

Continua…