Sant’Efisio 2019: a Cagliari fedeli e partecipanti da tutto il mondo

Evento internazionale che riunisce cultura, fede e tradizione insieme

In principio fu una promessa solenne, fatta l’11 luglio 1652 dalla municipalità di Cagliari al suo protettore. Da allora è stata onorata ogni primavera, con devozione e gratitudine. Anche sotto i bombardamenti del 1943. L’intercessione di Efisio fu invocata per far cessare la peste, che nel XVII secolo devastava la città. Grazie al suo intervento le piogge placarono l’epidemia. Efisio, nato in Asia Minore nel III secolo d.C, fu ufficiale dell’esercito romano. Secondo la tradizione, si convertì in seguito alla visione di una croce splendente nel cielo e sentendo la voce di Cristo che lo rimproverava per la sua missione sanguinaria. Di stanza in Sardegna, mentre i suoi soldati combattevano i barbari, divenne difensore del cristianesimo, disobbedendo a Diocleziano.

L’imperatore ne comandò il martirio nel 303 d.C. Prima di essere giustiziato, come estremo atto di fede, promise di proteggere per sempre Cagliari e i suoi cittadini. In memoria di questo miracolo, ogni anno, il primo di maggio, la statua di Sant’Efisio ripercorre la strada per raggiungere la località sulla costa dove avvenne il suo martirio. La festa è molto sentita ma è soprattutto fede.

Un’intera isola si ferma per ripetere un rito lungo quasi quattro secoli con la processione di 65 chilometri (Cagliari – Nora), una delle più antiche e lunghe del mondo, che tocca l’animo di chiunque e che appassiona migliaia di turisti rapiti dall’atmosfera di passione. Intanto la vestizione della statua e poi la messa nella piccola chiesetta a lui intitolata, nel quartiere di Stampace a Cagliari, sono un rito religioso a cui tutti possono partecipare. La processione è aperta dalle traccas ovvero pesanti carri tirati da buoi ornati di fiori, attrezzi da lavoro o di uso quotidiano e con splendide prelibatezze e prodotti tipici locali (20 le tracas che hanno partecipato, provenienti dal Campidano, dall’Iglesiente, dal Sulcis, dalla Trexenta e dal Campidano di Oristano).

Dopo i carri fanno bella mostra di se i costumi tradizionali, indossati da uomini e donne che mentre sfilano a piedi pregano. Tutti questi abiti, dai vari colori e tutti molto diversi fra loro, sono ornati di gioielli di splendida fattura (91 le associazioni di devoti a piedi, in abbigliamento tradizionale, in rappresentanza di 23 sub regioni storiche).

La sfilata prosegue con i cavalieri (205 i cavalieri in rappresentanza di 34 località), i suonatori di launeddas (quest’anno 6), autorità e confraternite che precedono il decoratissimo cocchio che custodisce il Santo, scortato dai miliziani e seguito dalla numerosa folla dei fedeli. La processione raggiunge il suo punto cruciale in via Roma, in cui viene compiuta sa ramadura (ovvero donne e uomini in abito tradizionale che ricoprono la strada, dove passerà il santo, con petali di rosa).  I Comuni coinvolti, considerati i gruppi a piedi, i cavalieri, le tracas, i miliziani, gli strumentisti, i cori polifonici e gli artisti, sono stati in totale 118.

Il tragitto si snoda dal luogo di prigionia sino a quello del martirio, la spiaggia di Nora, dove si erge la chiesetta romanica intitolata al santo. Tante le tappe intermedie: il primo giorno alle chiese di Giorgino e di su Loi (Capoterra), poi a Villa d’Orri. Il secondo giorno, dopo la notte trascorsa a Sarroch, tappa a Villa San Pietro e arrivo a Pula. Il rientro, il 4 maggio a Cagliari. Al ritorno a Stampace, vicoli e stradine si riempiono di migliaia di fedeli, turisti e semplici curiosi che al termine delle celebrazioni si lasciano andare un grido comune: a atrus annus!

Molto importanti, nella complessità della manifestazione, sono i due buoi, di razza sardo-modicana, dai nomi complicatissimi anche se pieni di riferimento, “Mancai ci provisi” e “Non ci arrennexisi“, hanno assolto la loro funzione di trascinatori del carro con a bordo la statua del Santo. I buoi avevano, ed hanno, sette anni, lucidissimi, sono stati guidati da un membro della famiglia Cabras, che assolve da anni questo compito e che ha anche un successore in “pectore”, che sta “studiando” già da ora come muoversi in quella festa. Gli animali avevano fatto le prove per vedere se mantenevano anche quest’anno la pacatezza necessaria alla bisogna, cosa che poi hanno confermato nella lunghissima processione, che, non va mai dimenticato, si muove con la loro velocità, calma, solenne senza pause, come è nella tradizione. Alcune vicende legate al Santo, sono davvero incomprensibili. Come la supremazia di sant’Efisio su san Potito, che sembravano avere avuto una vita quasi “gemellare”.

San Potito viene anch’esso venerato a Nora, come sant’Efisio, si dice che san Potito sia stato martirizzato nel Sannio, trasportato a Cagliari dagli angeli e poi sepolto vicino a sant’Efisio. Di sicuro c’è che il suo corpo sia stato traslato a Pisa dagli invasori toscani. Come sia, anche san Potito era di origine orientale, di Sofia, la capitale odierna della Bulgaria, ma ha avuto meno appeal sulla popolazione sarda rispetto a sant’Efisio. Perché? Il culto di quest’ultimo ebbe nel 1793 una grande ripresa, in occasione della difesa vittoriosa di Cagliari sui Francesi occupanti, vittoria che venne attribuita a sant’Efisio, che influenzò, lo dice la leggenda e la fede, il tempo meteorologico così da scompaginare gli invasori. Da lì partì la convinzione che sant’Efisio fosse il santo combattente, e che difendesse i militari che si fossero messi sotto la sua tutela. Della storia dei santi Efisio e Potito esiste una allegoria, bellissima, in affresco, al Camposanto di Pisa per opera di Spinello l’Aretino.