Bruce Springsteen: storyteller del rock

Ha saputo mantenersi fedele a un’idea forte di musica come strumento di denuncia


Storyteller d’altri tempi Bruce Springsteen ha saputo mantenersi fedele a un’idea forte di musica come strumento di denuncia e sublimazione della realtà, elevando storie di ordinaria vita quotidiana al rango di poesia e attribuendo spesso un valore epico e paradigmatico alle proprie narrazioni. In pratica Springsteen racconta trentacinque anni di storia americana, tra denunce sociali e sogni. Questa mattina, nel programma Heroes, in streaming alle ore 11:00 su Radio Sardegna Web, lo special guest sarà proprio Bruce Springsteen con una playlist a lui dedicata (Massimo Salvau).


Nato a Freehold, nel Sud del New Jersey, il 23 settembre 1949, Bruce Springsteen è sicuramente una delle figure centrali del rock degli ultimi trent’anni, ancora in grado, nonostante l’età e i numerosi album alle spalle, se non di stupire, almeno di proporre una musica fatta col cuore, pregna di sostanza e sincera. La sua figura è atipica sia rispetto alla trita mitologia del rock ‘n roller reietto e dedito all’abuso di alcol e droghe, sia rispetto alle mode musicali che lo hanno affiancato nel corso degli anni. Bruce Springsteen riaffermava la fede americana nella possibilità del riscatto, incarnava i valori morali generatisi durante la lotta pragmatica e calvinista contro la wilderness tre secoli addietro,  si rinchiudeva (temporaneamente, certo) nella propria solitudine desolata, facendosi specchio di una società in rovina, a dispetto del sicuro e millantato successo dei potenti. Questo è l’indubbio peso storico che “il Boss” ha avuto per due decenni (i 70 e gli 80), regalando speranza a migliaia di disillusi e continuando a rappresentare una sorta di “luce che non si spegne mai”. Pur non essendosi mai invischiato direttamente nella politica, le sue storie, paradigmatiche delle dinamiche sociali, hanno sempre avuto un forte risvolto collettivo. Bruce Springsteen è l’erede più diretto di quel filone musicale che, partendo da Woodie Guthrie e passando attraverso la rivolta del rock’n roll e la protesta dylaniana, racconta l’America (e, con essa, buona parte di noi stessi) attraverso una semplicità rivelatrice, in cui il singolo incarna la società tutta. La sua anima folk, apparentemente nascosta dietro le potenti elettrificazioni della E-Street Band, emerge chiaramente negli squarci acustici che, con cadenza quasi decennale, ci regala (Nebraska negli 80, The Ghost Of Tom Joad nei 90 e il recente Devils & Dust). La sua attenzione alle problematiche della fasce più deboli (che gli è valsa il titolo di “Working-Class Hero”) è certo in parte dovuta alle sue umili origini: la madre di discendenza italiana era casalinga e il padre, affettuosamente ricordato anni dopo nella lunga intro a “The River” contenuta nel triplo Live 1975-1985, era guidatore d’autobus.

Sembra che la storica apparizione di Elvis Presley all’Ed Sullivan Show lo abbia convinto, ancora in tenera età, a imparare a suonare la chitarra. Dopo aver suonato in varie formazioni musicali durante gli anni Sessanta (passando dal garage al blues-rock), nel 1971 Bruce Springsteen si trasferisce a New York, nel mitico Greenwich Village, dove sulle orme di Bob Dylan cerca di sfondare come cantautore folk. Springsteen deve ancora elaborare un proprio stile, cosa che avverrà compiutamente solo quattro anni più tardi. Riesce a strappare un’audizione alla Columbia Records (guarda caso l’etichetta di Bob Dylan), grazie all’intermediazione della Laurel Canyon Productions, società di Mike Appel e Jim Cretecos con cui aveva stipulato un accordo di management (che in futuro si sarebbe rivelato foriero di problemi). È fatta. Un contratto da 65mila dollari che lo impegna a pubblicare dieci album viene siglato poco tempo dopo nell’entusiasmo del manager dell’etichetta, John Hammond. A dieci mesi di distanza l’uno dall’altro vedono la luce i primi due lavori di Springsteen: Greetings From Asbury Park e The Wild, The Innocent & The E-Street Shuffle, entrambi pubblicati nel 1973. Greetings From Asbury Park è sicuramente un lavoro ancora acerbo. I tempi di registrazione estremamente brevi (circa una settimana) e una non ancora piena padronanza dei mezzi impediscono al disco di sfondare, e la ricezione da parte del pubblico è piuttosto scarsa (25/30mila le copie vendute). Nonostante ciò, alcuni degli elementi che caratterizzeranno il suono futuro del “Boss” sono già presenti: piano e organo ammorbidiscono la sezione ritmica, fungendo da base per i decolli del sassofono. “Blinded Up By The Light” e “Lost In The Flood” sono sicuramente i pezzi meglio riusciti del lavoro e il primo sarebbe divenuto nel 1977 un hit da primo posto in classifica. Le recensioni della critica sono alquanto lusinghiere e sembrano far intravedere il radioso futuro del rocker. Nel settembre del 1973 viene pubblicato The Wild, The Innocent & The E-Street Shuffle, che dal punto di vista commerciale subisce la stessa tiepida sorte del predecessore. Musicalmente, però, l’evoluzione appare innegabile: le contaminazioni sonore con il jazz e il rock più puro mascherano ulteriormente le matrici folk del cantautore, supportato da una E-Street Band dalla line-up non ancora definitiva, che annovera Vini Lopez alla batteria e David Sancious alle tastiere (il quale vive proprio in quella E Street che aveva dato il nome all’album e al gruppo). Ma il lavoro non può dirsi compiuto. Un aiuto importantissimo viene dall’allora direttore di “Rolling Stone”, Jon Landau, che dopo aver assistito alla performance di Springsteen all’Harvard Square Theatre di Cambridge, in Massachussets, scrive le famose parole: “Ho visto il futuro del rock’n’roll e il suo nome è Bruce Springsteen”. La Columbia si vede servita su un piatto d’argento la possibilità di rilanciare il rocker e Landau ne diviene, tanto ne è rimasto impressionato, consigliere personale. Nell’agosto del 1975 ecco giungere nei negozi il lavoro che avrebbe scagliato Bruce Springsteen definitivamente in orbita: Born To Run. Roy Bittan e Max Weinberg sostituiscono Sancious e Lopez, Clarence Clemons si posiziona al sassofono, Steve Van Zandt aka Little Steven si aggiunge alla chitarra, Danny Federici all’organo e Garry Tallent al basso. Ecco la definitiva e roboante E-Street Band, di certo tra le migliori macchine musicali che la storia ricordi, soprattutto in ambito live. Born To Run raggiunge la Top Ten nelle hit parade e il tour che ne segue l’uscita assume le sembianze di una vera e propria marcia trionfale, caratterizzato di concerti dalla durata generosissima (il record verrà raggiunto il 31 dicembre 1980, al Nassau Coliseum di New York, con ben 38 canzoni eseguite in 4 ore!).

Bruce Springsteen si vede ora aperte le strade di quel successo tanto sognato da ragazzino e, testimonianza vivente della veridicità del sogno americano, si fa portatore di quel messaggio alle giovani generazioni senza ideali del periodo, perse nel nichilismo fatalista del punk o nell’esistenzialismo depresso della new wave. Il successo raggiunto, incredibile e clamoroso, è però seguito da un periodo oscuro, vissuto in mezzo agli avvocati, che avrebbe ritardato l’uscita del lavoro successivo. Mike Appel infatti, indispettito dalla sempre maggiore ascendenza di Jon Landau sulle scelte artistiche di Springsteen, dà il via a una causa legale che arresta ogni ulteriore attività artistica. Il rocker, nel frattempo, compone numerosi pezzi per il nuovo album, mentre alcuni membri della E-Street band si dedicano all’attività di session-men. La vertenza si conclude nel 1977 con una buona uscita per Appel e la nomina ufficiale di Landau a manager di Springsteen; i lavori riprendono e Darkness On The Edge Of Town viene pubblicato nel giugno del 1978.  Appare da subito chiaro che le atmosfere sono diverse da quelle di Born To Run. Nel 1980 Ronald Reagan succede a Jimmy Carter alla presidenza statunitense, marchiando a fuoco un decennio caratterizzato da un generale riflusso reazionario che coinvolge sia gli Usa che, oltremanica, la Gran Bretagna (con Margareth Thatcher, la “Iron Lady”). Di fronte a una tale situazione, quei giovani che una volta correvano per strada pieni di sogni e che hanno poi scoperto la mediocre monotonia della vita in fabbrica si ritrovano ancora più soli, sprofondati in un vero e proprio abisso di follia. Ecco la ragione per cui un personaggio oramai famoso e dallo stile inconfondibile come Bruce Springsteen può decidere di pubblicare un album così anticommerciale e controtendenza come Nebraska (settembre 1982): semplicemente, il mondo intorno a lui è cambiato, e così il suo animo. Registrato in solitudine su un quattro piste casalingo e in realtà composto da demo di canzoni che avrebbero dovuto essere poi ampliate e rifinite, i dieci brani di questo lavoro incarnano, con la loro incompiutezza e la loro l’imperfezione di un’esistenza in cui la luce sembra essere completamente svanita. L’album non viene seguito da alcun tour, in linea con la natura intimista dei brani ivi contenuti, e nel frattempo Steve Van Zandt abbandona la E-Street Band per dedicarsi alla propria carriera solista, sostituito da Nils Lofgren. Di tutt’altra natura, registrato di nuovo con la band, è il successivo Born In The Usa, pubblicato nel giugno 1984, che scaglia il “Boss” nell’empireo della musica rock. Pensate…con oltre dieci milioni di copie vendute compete con stelle planetarie quali Prince o Michael Jackson, e necessita di veri e propri stadi per allestire le proprie performance live. Nonostante l’accusa lanciatagli di eccessiva commercializzazione, l’album si mantiene fedele all’animo poetico del leader che, dal punto di vista musicale, ritocca in chiave maggiormente pop-rock il sound ma continua a farsi portatore di una grande consapevolezza sociale. L’astio sorto in tanti fan del primo Springsteen si radica nel tentativo (peraltro mai riuscito) di manipolazione politica cui viene sottoposto. L’uscita del disco coincide, infatti, con il pieno della campagna presidenziale in vista delle elezioni di novembre: Reagan, forte di un vasto consenso e pronto alla rielezione, interpreta l’omonimo pezzo d’apertura del lavoro come un incitamento patriottico alla difesa dei valori nazionali e tenta di utilizzarlo come colonna sonora per la propria campagna.