La Luce in fondo al pozzetto

Breve storia a puntate di una giovane blatta e della sua ricerca della verità

Gentile lettore,

dopo la rocambolesca fuga e le opportune riflessioni, per il nostro affezionatissimo è tempo di conoscere cosa realmente accade in superficie

 

L’episodio di oggi è dedicato al piccolo Tommaso, che di recente ha aperto gli occhi al mondo. A lui vanno tutti i migliori auguri per una vita prospera, lunga, ricca di soddisfazioni e sempre illuminata dalla verità.

 

Il disegno della striscia illustrativa è tratto dalla prima illustrazione di Archy and Mehitabel, di Don Marquis, uscita in data 11 Settembre 1922 per il New-York tribune. Il nostro Kopro deve ad Archy, suo illustre predecessore, due cose: l’immagine in questione, e lo stesso rispetto dovuto a chiunque lotti per esprimere se stesso nonostante i propri limiti.
Le illustrazioni all’interno sono opera di Michele Marescutti, che come sempre ci regala la sua personalissima e affascinante visone del mondo di Kopro

12. La Superficie

Alle parole di G. Kopro trasalì per un istante: «Cosa intendi dire con lassù?» «Hai imparato a non temere la luce, ormai i tuoi occhi sono abituati, non sei più un banale lucifugo come il resto della nostra specie. La vita qui sotto comincerà a starti stretta molto presto, se non ha già iniziato a farlo…» Il vecchio parlava molto seriamente, e mentre si rivolgeva a lui continuava a guardare verso l’alto con una certa insistenza. «Stai cercando di dirmi che vuoi oltrepassare la feritoia e andare verso la grande luce?» Il vecchio rise di gusto: «Da come ne parli sembra quasi che voglia condurti verso la morte!» «No, non dico questo, ma credo capirai che la cosa possa spaventarmi…» «Certo, ne sono sicuro, e lo trovo più che normale, è una novità assoluta, e per giunta va contro tutto ciò che fino a qualche tempo fa avevi sempre creduto di sapere! Sia chiaro, ci andremo solo se lo vorrai, altrimenti sei liberissimo di far ritorno alla colonia a farti prendere a palle di escrementi dalla neanide di turno, o mettere su famiglia… affari tuoi insomma…» Il tono del vecchio tradiva una certa ironia, probabilmente cercava di stuzzicare il suo giovane compagno di viaggio, in modo che non abbandonasse proprio a un passo dalla meta. «Non c’è bisogno che ti prenda gioco di me, ti ho seguito fino a qui, ne abbiamo passate tante, non vedo perché debba mollare proprio ora. Io sono pronto, mettiamoci in cammino quando vuoi!»

Fu colto da una sorta di ansia benigna, quel sentimento che si impadronisce delle viscere facendo tendere tutto il proprio sé verso l’appagamento della curiosità.

G. si mise in piedi sgranchendosi zampe e moncherini, era chiaro che si preparava ad uno sforzo fisico degno di nota: «Ci affacceremo proprio da quella feritoia sopra di noi, è una lunga arrampicata, ma per te non dovrebbe essere difficile!». Kopro lo guardò con una certa apprensione: «E tu come farai?». «Non preoccuparti per me, me la caverò, come ho sempre fatto.» Una volta davanti alla parete che conduceva verso la fessura G. la tastò con le due zampe anteriori, per verificare se le ciglia fossero ancora capaci dell’aderenza necessaria a un’arrampicata simile. Per Kopro non fu un grosso problema, vista la perfetta funzionalità delle sue zampe sarebbe salito senza sforzi. Ma proprio mentre stava per avviarsi uno scrupolo si fece strada in lui: «Sali prima tu vecchio, io starò di sotto pronto a darti una mano se dovessi trovarti in difficoltà». «La tua non è una cattiva idea, ma cerca di non essere eccessivamente protettivo nei miei confronti, o ti distrarrai dal tuo obiettivo.» «Semplice mutuo soccorso no? Sono parole tue!» Il vecchio sorrise compiaciuto, si cominciava a notare nel ragazzo quel tipo di ironia propria di chi è padrone dei significati che esprime.

Si voltò silenziosamente e si lasciò investire dal fascio di luce. I suoi occhi non erano abituati a così tanto fulgore, quindi gli ci volle un po’ prima di riuscire a percepire qualcosa

Il primo tratto non fu molto difficoltoso, G. sembrò calibrare bene i propri sforzi concentrando il più possibile peso ed equilibrio sulla parte destra del corpo, quella dotata di tutte le zampe. A metà scalata però, la famosa vecchiaia si presentò in tutta la sua intransigenza con il conto in mano. La zampa sinistra cominciò a mostrare evidenti segni di stanchezza, i due moncherini, per quanto si agitassero per aria ricordando un galeone disastrato i cui rematori non sono stati informati dello spezzamento del proprio remo, cercavano di compensare la loro inutilità appigliandosi ad ogni piccola rientranza o imperfezione della parete. Kopro osservava dal basso, costretto a dimensionare la sua forza giovanile per non superarlo e per un qualche strano senso di rispetto. Vedeva il vecchio sforzarsi con tutto se stesso, all’inizio non era troppo preoccupato, «Se dovesse cadere ha pur sempre le ali…» Pensò. Ma poi si rese conto che l’ala sinistra, come le zampe, non era di certo al meglio delle sue funzionalità. Accadde tutto in una frazione di secondo, esausto e tremante G. provò ad agganciare la zampa sinistra, ma quando ci caricò sopra il peso del corpo, questa si staccò dalla parete lasciandolo a penzoloni sulle tre zampe destre. Kopro lo raggiunse più velocemente che poteva e poggiando la testa sul cercine posteriore gli fece da supporto: «Ci siamo quasi vecchio, Non mollare proprio ora!»

Finalmente erano giunti a destinazione, Kopro era troppo preso dalle condizioni del vecchio G. per accorgersi di cosa accadesse alle sue spalle: «Stai bene? Ce l’abbiamo fatta!» «Si ragazzo, ce l’abbiamo fatta… dammi solo il tempo di riprendere fiato, e magari voltati, sei così preoccupato dalla mia situazione da non accorgerti di essere a un passo dalla luce.» A quelle parole il suo stato d’animo mutò. Fu colto da una sorta di ansia benigna, quel sentimento che si impadronisce delle viscere facendo tendere tutto il proprio sé verso l’appagamento della curiosità. Si voltò silenziosamente e si lasciò investire dal fascio di luce. I suoi occhi non erano abituati a così tanto fulgore, quindi gli ci volle un po’ prima di riuscire a percepire qualcosa; un istinto irrefrenabile di andargli incontro si impadronì di lui e si mosse per raggiungerlo. «Fermo ragazzo! Non lasciarti prendere dalla fretta, aspetta che i tuoi occhi si abituino, studia bene ciò che hai davanti e solo dopo prendi una decisione!» Si bloccò appena in tempo, prima che la sua testa fosse fuori dalla fessura, proprio in quell’istante una sagoma velocissima sfrecciò davanti alla breccia muovendo violentemente una grossa quantità d’aria che quasi li faceva ricadere di sotto. Si sentì un po’ ridicolo, era stato un’irresponsabile, qualsiasi cosa fosse, quella sagoma lo avrebbe di certo schiacciato. «Grazie vecchio, mi hai salvato la vita.» «Sarebbe imperdonabile morire proprio a un passo dalla scoperta che cerchi, non credi?» Si sedette vicino al vecchio G. con la faccia rivolta verso la breccia, dalla quale sembrava finalmente intravedersi qualcosa: «Ma cosa sono tutte queste sagome che sfrecciano tra il rumore e il caos?» «Osserva con calma, quali sono le differenze tra questo e ciò che credevi di trovare?» «Mi aspettavo un luogo di pace e silenzio, dove la verità sarebbe stata palese e sotto gli occhi di tutti, invece vedo solo caos, rumoroso e incomprensibile caos!»

Finalmente si affacciò, timidamente e con le zampe tremanti…

G. sorrise per l’ennesima volta: «La verità è anche questo non credi?». «Questo cosa?» «Il fatto che la vita non si fermi solo al corso del fiume Nylon e agli escrementi che lo circondano. Il fatto che ci sia vita anche oltre le feritoie da cui tu riuscivi solo a vedere della luce!» «Ma cosa è esattamente quello che stiamo vedendo?» «Vita mio giovane amico, vita espressa in talmente tante forme, spesso apparentemente contraddittorie, che nessuna teoria potrà mai racchiudere nella sua totalità!» «Credi che potrò affacciarmi?» «Certo! Ma fallo con molta prudenza, sfrutta il nascondiglio in cui ancora ci troviamo per conoscere tutto ciò che puoi dalla prospettiva che questo ridotto campo visivo ti offre. Dopodiché prova ad affacciarti.» Rispettò tutte le raccomandazioni, attraverso il nascondiglio poteva scorgere le sagome veloci passare ad una cadenza più o meno regolare e ad associargli il rumore specifico. Altre sagome rompevano lo spazio visivo con ritmi molto più irregolari ma con velocità nettamente inferiori. Finalmente si affacciò, timidamente e con le zampe tremanti, davanti a lui pareti immense con feritoie quadrangolari da cui si affacciavano, entravano e uscivano enormi creature bipedi, le stesse creature che camminavano per sentieri ben rimarcati e battuti, spesso accompagnate da strani quadrupedi. Si muovevano freneticamente avanti e indietro, ricordando per molti versi la colonia delle formiche. Il tutto sotto una quasi abbagliante volta azzurra. «Tutto finisce sotto quella volta azzurra o c’è qualcosa oltre?» «Non avere fretta, lo chiamano cielo, parliamo prima di cosa ci accade sotto. Credo sia arrivato il momento che ti racconti di quattro giovani blatte e del loro primo impatto con questo spettacolo…»

Continua…