“Il giornalista sardo? Precario, disoccupato, povero e molto disincantato”

…Ma potrebbe avere ancora un futuro.


Alessandro Zorco è laureato in Giurisprudenza ed è giornalista professionista dal 2006. Ha lavorato presso l’Unione Sarda, il Giornale di Sardegna (Epolis) e l’Italia dei Valori. Attualmente è addetto stampa della CNA Sardegna. Siamo riusciti ad intervistarlo in un momento di pausa dal suo lavoro.

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Innanzitutto Alessandro come nasce questa tua passione per il giornalismo?

“La mia professione nasce dalla passione per la scrittura ma anche e soprattutto per la divulgazione. La facoltà di Giurisprudenza all’Università di Cagliari, dove mi sono laureato negli anni Novanta, in quel periodo era una delle più difficili d’Italia. Studiando quei libri densi di concetti complicatissimi ho sentito l’esigenza di tradurli in parole più semplici e comprensibili. Credo che la mia inclinazione al giornalismo sia nata così. In fondo il giornalista deve fare questo: tradurre in maniera semplice le cose più difficili e complicate. Quando nella mia carriera di cronista mi sono occupato di argomenti tecnici ho sempre tenuto a mente quel che mi hanno insegnato i miei maestri di giornalismo: non dovevo scrivere per farmi capire dagli intellettuali, ma da “tzia Mariedda”. Per questo ho sempre cercato di adottare uno stile molto sobrio”.

Con questa professione, in genere, cosa ti piace raccontare?

“Credo che il giornalismo abbia una grande valenza sociale e democratica e penso che gran parte del futuro della nostra società sia determinato dalla libertà di stampa. Dal mio sito mi piace raccontare le tante sfaccettature della nostra società nell’ottica di una ideale ricerca di verità e di equità. Mi piace parlare di economia, ma di una economia che sia più giusta per tutti. Ma soprattutto mi piace valorizzare le tante persone che oggi lavorano per il bene comune e spesso vengono ignorate da un sistema che purtroppo non valorizza certo la meritocrazia”.

Esattamente come scandisci la tua giornata lavorativamente parlando? Da che punto incominci a fare il giornalista? Che so…segui molte conferenze stampa la mattina e poi la sera butti giù gli articoli del caso? Ti organizzi interviste la mattina che poi traduci in forma scritta la sera? Facci capire…..

“Il mondo del giornalismo ha tante facce e tante modalità. Seguire eventi e conferenze stampa era il mio modus vivendi soprattutto quando collaboravo con l’Unione Sarda. Chi fa il giornalista a Cagliari non può non avere il sogno di entrare nella redazione dell’Unione Sarda. Spesso, nell’ultimo periodo, scrivevo ogni giorno tre pezzi, uno per la cronaca di Cagliari, uno per l’economia e uno per la politica. In quel periodo la mia giornata iniziava magari con una conferenza stampa alle 10 e terminava quando riuscivo a spedire l’ultimo pezzo al redattore che lo doveva mettere in pagina. Un collaboratore esterno di un giornale deve essere disponibile nell’arco delle 24 h, per questo non erano rare le telefonate anche a notte inoltrata dai redattori che assegnavano gli incarichi per il giorno successivo. Quando sono stato assunto  al Giornale di Sardegna, il quotidiano fondato da Nichi Grauso nel 2004, ho iniziato ad occuparmi prevalentemente di politica e cronaca regionale ed ogni giorno seguivo i lavori del consiglio regionale, della giunta e tante manifestazioni di carattere regionale, dalle manifestazioni sindacali alle visite dei Papi in Sardegna. In quel periodo in cui ho goduto dei privilegi dei giornalisti contrattualizzati entravo in redazione nel pomeriggio e uscivo ogni giorno alle 11 di notte. Infine l’odierna attività di addetto stampa, intrapresa dopo il traumatico fallimento di Epolis, ha dei tempi di lavoro ancora diversi e molto variabili che mi consentono di avere dei ritagli di tempo da dedicare anche al sito che ho fondato nel 2013: Blogosocial. Attività del tutto gratuita e residuale”.

La Sardegna è una buona regione dove fare una seria gavetta?

“Forse prima si. Perché prima c’erano dei maestri in grado di insegnare ai giovani aspiranti giornalisti i segreti del mestiere e soprattutto i valori imprescindibili che stanno dietro la nostra professione. Persone di grande spessore umano e professionale. Oggi non è più così. Ci sono bravi giornalisti, ma non ci sono i maestri di prima. Qualche anno fa una seria gavetta ti portava prima o poi a raggiungere l’agognato sogno della scrivania in redazione, oggi non è più così. Si rischia di fare una gavetta a vita, che significa essere soltanto sfruttati e perdere tempo preziosissimo”.

Quali sono le cose che un giornalista non dovrebbe fare mai?

“Vendersi e rinunciare alla propria libertà. Uno dei grandi pregi di questa professione è quello di avere delle precise regole deontologiche che si basano sulla supremazia della libertà e della ricerca della verità oggettiva dei fatti. Sono cose irrinunciabili”.

Sei uscito nel 2016 con un documento importante dal titolo “UCSI – Dossier su la stampa in Sardegna”. Si parla un po’ della situazione in cui si trovano i giornalisti in Sardegna, lavorativamente ed economicamente parlando. Mi ricordi chi sono i tuoi colleghi che ti hanno aiutato nella stesura di questo importante documento di 104 pagine?

“Se dovessi essere politicamente corretto ti ripeterei i nomi di tutto il gruppo di lavoro. Ma siccome io politicamente corretto non lo sono mai stato ti dico chi mi ha materialmente dato una mano a concludere il lavoro. L’ex presidente dell’Ucsi Sardegna Mario Girau, che mi ha aiutato a correggere le bozze e recuperare i pezzi dei collaboratori, scrivendo a sua volta, e Simone Bellisai che ha gestito la parte tecnica del questionario somministrato a tutti i nostri colleghi. Per il resto il dossier me lo sono dovuto sciroppare praticamente da solo“.

Cosa emerge da questo documento?

“Emerge una situazione estremamente drammatica. L’identikit di un giornalista sardo precario, per non dire disoccupato, povero e molto disincantato. Ma che comunque ritiene che il nostro mestiere possa avere ancora un futuro. Altra cosa che emerge, e secondo me è la più amara, è che la maggior parte dei giornalisti è convinta che in Sardegna non si venga assunti sulla base delle proprie capacità e i propri meriti lavorativi, ma esclusivamente tramite raccomandazioni. Questa, secondo me, è la sconfitta più grande. Non possiamo dare ai nostri ragazzi il messaggio che l’impegno ed il merito non servono a nulla. E’ totalmente diseducativo”.

Come se la passano i giornalisti in Sardegna?

“Male. Su un migliaio di giornalisti che esercitano effettivamente la professione e pagano i contributi alla nostra cassa di previdenza circa 8oo sono precari e vivacchiano con le collaborazioni e gli uffici stampa. E’ una situazione che spesso non permette ai giovani di fare un progetto di vita e ai meno giovani, e sono tanti, di mantenere le proprie famiglie. Sapere che un giornalista professionista deve andare alla Caritas per mangiare ogni giorno un piatto di pasta ti impone uno sguardo un po’ diverso a questa professione che molti, dall’esterno, vedono come una situazione privilegiata. I privilegiati ci sono, per carità, ma sono sempre meno. La maggior parte dei giornalisti sardi purtroppo se la passa molto male. La cosa più drammatica è che molti giornalisti affermati dall’alto del loro comodo posto di lavoro, non percepiscono la cruda realtà del giornalismo in Sardegna. Durante le presentazioni del dossier a Cagliari e a Sassari qualche affermato collega si è meravigliato cadendo dal pero: ma davvero la situazione è questa, davvero in Sardegna ci son tanti giornalisti precari?”.

Lo so. Non dovrei farti questa domanda ma mediamente quanto guadagna al mese un giornalista professionista e quanto un pubblicista?

“Sul fronte dei guadagni la distinzione tra professionisti e pubblicisti è fuorviante. E’ ovvio che un giornalista professionista regolarmente assunto con un contratto a tempo indeterminato arriva a guadagnare anche cinque o seimila euro netti a seconda del suo incarico, magari anche di più. Ma si tratta come detto di una minoranza. Dal nostro dossier esce fuori che il 65% dei giornalisti sardi è sottopagato e guadagna tra i 170 e i 580 euro al mese. Una cifra assolutamente insufficiente per sopravvivere”.

Secondo te vale la pena, oggi, continuare a fare il giornalista di professione? Oppure è meglio cercarsi un’altra strada e fare il giornalista nei ritagli di tempo?

“Come per tutte le cose, dipende dalla motivazione. Se ci sono la passione e la motivazione si è disposti a sopportare molte difficoltà e sacrifici. Ad un giovane che vuole stare in Sardegna  e che vuole provare a fare il giornalista puntando solo sulle sue capacità e sul proprio lavoro sinceramente suggerirei di cercarsi un lavoro “vero” e di scrivere per hobby. A meno che non voglia andare fuori e provare a giocarsi le sue carte e la sua bravura fuori dalla Sardegna. L’alternativa è quella di bussare alle porte dell’amico di papà che magari ha qualche conoscenza giusta. Usando quella strategia, come abbiamo visto, ci può scappare anche un’assunzione. Dipende da tanti fattori, ognuno è pienamente responsabile delle sue scelte. D’altronde esiste il libero arbitrio”.

L’Ordine dei giornalisti. Un organo importantissimo da migliorare? E, se sì, in quali sue parti?

“Personalmente ritengo l’Ordine dei Giornalisti un imprescindibile organismo di garanzia che deve essere mantenuto e addirittura rinforzato nel suo compito di tutela, soprattutto degli utenti dell’informazione. L’unico dubbio, in questo momento storico in cui il giornalismo digitale sta prendendo il sopravvento, è questo: gli utenti dell’informazione vogliono davvero essere tutelati e garantiti? Gli utenti hanno necessità di una informazione autorevole e certificata? Hanno necessità di una informazione approfondita e verificata? Oppure gli basta una informazione superficiale e approssimativa basata sui titoloni ad effetto e sul gossip? Si parla tanto delle famigerate fake news, ma siamo sicuri che chi girovaga su internet con lo smartphone non cerchi soprattutto quel tipo di informazione faziosa e  poco approfondita? Su questo nutro seri dubbi”.

Che speranze hai per il futuro della categoria?

“Io credo che il futuro del giornalismo di qualità sia strettamente connesso all’evoluzione della nostra società. Mentre prima esisteva il vate giornalista che pontificava dalle colonne del giornale oggi i mezzi tecnologici permettono democraticamente a tutti di esprimere opinioni e divulgare notizie. Oggi per divulgare notizie su un blog o un social network non è più necessario sostenere un esame professionale ed essere sottoposti ai vincoli di un ordine che sanziona chi non rispetta le regole. E’ un bene? E’ un male? Non so. Ma credo che, in un libero mercato, il futuro della nostra categoria stia pragmaticamente nel gioco della domanda e dell’offerta. Fino a quando ci sarà da parte degli utenti una domanda di buona informazione ci sarà anche spazio per un giornalismo libero e autorevole che ricerchi la verità in maniera approfondita. Per fare una buona informazione, soprattutto nel mondo sempre più interattivo  della rete, si deve essere necessariamente in due: chi scrive con coscienza e attenzione e chi legge. Con la stessa coscienza e la stessa attenzione”.