Anthony Zella DJ: “La discoteca, quella vera, forse non esiste più”

Il DJ cagliaritano, intervistato per Radio Sardegna Web, parla anche della sua passione per la radio

 


Antonio Piludu è una vecchia guardia del panorama radiofonico isolano. Anche lui ha dato il suo contributo allo sviluppo della radio in Sardegna. Oggi è soprattutto DJ ed amante della musica in generale. Radio Sardegna Web ha colto l’occasione per intervistarlo…


 

Chi è Anthony Zella e come è nato l’approccio con la musica e l’attività di DJ?

“Difficile da spiegare in poche righe. Possiamo dire che sono un ragazzo di 46 anni, che ha iniziato a fare radio a 6 anni e che con il passare degli anni ho sviluppato la passione per la musica, per la radiofonia e per il djing”.

Qual è il genere musicale che prediligi?

“Non esiste per me un genere preferito, sono abituato ad ascoltare davvero di tutto”.

Come si prospetta, secondo te, il futuro per un DJ in discoteca…nei locali….in generale? Chi, in Sardegna, sa fare veramente il DJ?

“Il futuro della discoteca chi può dirlo veramente? La musica cambia decennio dopo decennio. Partendo dagli anni 70 ad oggi, abbiamo visto modificare la discoteca in base a quello che la musica ha proposto. Se negli anni 80, la musica che si ballava, era quasi tutta, negli anni 90 sono nate le vere hit da discoteca, aprendo un vero filone musicale dedicato. Non sto entrando in merito a generi musicali come la techno o la house che avevano un loro pubblico e spesso si usavano solo esclusivamente nei club, mentre quelle più commerciali, faccio un esempio su tutti, Haddaway con “What is Love”, veniva trasmessa in radio più e più volte. Ora viviamo il periodo del reggaeton e anche in questo caso,  i locali mascherati a discoteca (ormai non sono più vere discoteche), si adattano. Alla domanda chi sa fare veramente il dj di sicuro bisogna fare delle distinzioni. Ci sono i dj che usano un solo genere e quelli che conoscono solo un genere. Chi sa fare davvero il DJ è chi usa il suo genere preferito (parlando di serata in discoteca) ma conosce e sa mixare anche il resto. Oggi però non basta saper solo mixare, quello lo sanno fare in tanti (non tutti perché anche con la tecnologia che potrebbe aiutare, ho sentito certi orrori indescrivibili). La discoteca, quella vera, forse non esiste più. Prima era il luogo dove venivano proposte anche le novità, ora invece è solo uno spazio dove la gente va per fare passerella. Quasi non la si utilizza nemmeno per fare conoscenza. Conoscenza adesso lo fanno sui social”.

Quali sono i tuoi progetti presenti e futuri?

“Progetti presenti c’è il disco che è appena uscito, dove ho prestato la mia opera per il remix di Disco Nights di Johnny Parker, con la collaborazione anche di Adam De Vee . Contemporaneamente ci sono, la collaborazione attiva con Johnny Parker nella sua agenzia, la Essence Production e la cura dell’etichetta discografica MonoWax. Poi ci sono una serie di novità di cui ancora non posso parlare”.

A tuo parere quali sono i limiti della Sardegna per quanto riguarda l’attività da DJ?

“Notevoli. Partendo dal non sapersi confrontare con altre realtà, avendo la convinzione che quello che si sta facendo è in assoluto la cosa migliore. Manca il confronto con gli altri, le collaborazioni che vedo solo con alcuni e spesso solo in piccoli gruppi. Certo non si può essere amici con tutti”.

Quale consiglio ti senti di dare ai nuovi dj sardi?

“Ascoltare tanta musica, non soffermarsi al solo ascolto delle cose nuove ma “studiare” ciò che è la storia musicale della discoteca (meglio se allargano anche i propri orizzonti con altri generi). Provare e riprovare per non sfigurare in consolle. Approfondire la propria cultura nel genere che gli è più congeniale, studiare uno strumento musicale che potrebbe aiutarli un giorno anche a produrre. E cosa più importante, restare umili”.

Tu sei stato anche il proprietario di un emittente radiofonica: Radio Mistral. Ti manca il mondo della radio in fm?

“Radio Mistral è solo l’ultimo dei nomi che ha avuto. Si parte dal 1982 con Radio Centro Venere per poi passare a Radio Italia Stereo nel 1984, con la quale siamo stati i primi in Sardegna a trasmettere solo musica italiana, con la quale ho vinto un Oscar della radio come miglior programma radiofonico e arrivare appunto a Mistral nel 2000. Mancare si, ma non l’FM inteso come proprietario di una emittente in tali frequenze: troppi vincoli, troppo sbattimento, almeno per esserne titolare. Ho anche collaborato con Radio Club Network come regista, con Radio Onda Stereo di Alghero, con Radiolina in cui facevo il critico cinematografico e con Radio Studio One dove venivano trasmessi i miei mixati. Ma non è la stessa cosa di quando dirigevo la mia radio”.

 Che differenze noti tra le radio fm e le web radio?

“Ce ne sono tante. Partiamo dalla strumentazione di trasmissione. Se in una radio FM ti occorrono oltre le attrezzature di bassa frequenza come i mixer, giradischi lettori cd e ora una regia automatica, microfoni ecc, hai bisogno anche di trasmettitori, filtri di cavità, ripetitori e le antenne. Sul Web tutto questo è sostituito da una connessione internet e un server di qualità che ti permette di avere una buona utenza. Non parlo dei costi di diritti di copyright e annessi perché il discorso sarebbe lungo”.

La radio in FM ha ancora un grosso appeal su la gente.  Come può una web radio competere con queste? Ma poi…..può competere?

“Il Web ha una grossa difficoltà rispetto alla FM: il fatto di non essere fruibile o raggiungibile casualmente. Se un ascoltatore, con una radio classica, sposta la frequenza, ha maggiori possibilità che  questi si fermi perché sente la sua canzone preferita e rimane perché la successiva è accattivante o piace il jingle o lo speaker che parla. Sul web, parti dal presupposto che il radioascoltatore deve, nella maggior parte dei casi, digitare un indirizzo web o aprire un’app dedicata. Ci sono diversi aggregatori di web radio ma non è la stessa cosa. Vivi in un oceano di radio talvolta uguali tra loro”.

Che rapporto hai con la Web radio in generale?

“Buono, anzi ottimo, perché dopo aver diretto una web radio,la World Web Radio, ho avuto l’occasione di essere consulente per diverse web radio in giro per l’Italia. Vedo un grande interesse da parte degli appassionati di radiofonia verso questo sistema di trasmissione”.

Si fa presto a dire web radio. Non è così semplice. Sembra che basti aprire un sito, ci metti un player, predisponi il server ed il gioco è fatto. Ma in realtà devi essere capace di stare sul web. Deve esserci un attività costate nei canali social ed il sito deve essere ben indicizzato. Mi confermi tutto questo?

“Oltre ad avere una buona programmazione, devi anche farti conoscere, avere un sito accattivante che non faccia scappare l’utente, indicizzare il tuo sito, farti conoscere è più difficile rispetto alla FM dove uno può arrivarci casualmente. Ma in FM resti fin dove le tue antenne riescono a irradiare il segnale, nel web, tu sei qui e ti ascoltano in Australia o in Argentina, basta conoscere l’indirizzo del sito. Poi sta alla web radio e i suoi contenuti far si che l’utente ritorni. Anche i social sono importanti per farsi conoscere, ma se non si usa la giusta strategia rischi solo di perdere soldi in investimenti sbagliati. Ci si deve affidare a persone competenti che sanno come utilizzare questi strumenti”.

Esiste un mercato economico che ruota intorno alle web radio? E come fa una web radio a sopravvivere?

Ora no. Non tutte le web radio hanno un potenziale di ascoltatori di base per poter vendere pubblicità, ma questo a qualcuno non è ancora ben chiaro. Ora sopravvivono soprattutto per la passione che hanno i vari editori. Come dire…è la loro figlia e quindi si fanno tanti sacrifici per lei e non per se stessi”.

Quale il futuro delle web radio in Italia secondo te?

“Dipende dal fattore economico prima di tutto. Se non si interviene nel moderare i costi che sono soprattutto su diritti di copyright e annessi, le web radio non vanno da nessuna parte. Per quanto riguarda le programmazioni ci sono diverse radio molto interessanti ma…senza i giusti numeri difficilmente potranno vendere spazi pubblicitari e pagarsi le spese, figuriamoci investire in speaker e contenuti”.

Grazie Antonio Piludu