Arrivano gli alieni: ecco i Rockets

Look spaziale, chitarre dalle forme più svariate, voci fortemente elaborate…questi erano i Rocketz


Stamattina, alle ore 11:00, sul pogramma Heroes, potrete ascoltare una playlist tutta dedicata ai Rockets. Gruppo musicale francese che si proponeva con un look denominato spaziale e incredibilmente d’effetto: costumi in lamé di taglio fortemente fantascientifico, chitarre e bassi fatti costruire in forma di stella, sole o altri simboli arcani. E poi l’uso di voci fortemente elaborate in modo da sembrare provenienti da altri mondi e negli spettacoli facevano uso di fumi, luci e pirotecniche (prime sperimentazioni del raggio laser) non comuni. Pensate quale effetto dal vivo poteva avere tutto questo. Musicalmente erano rock (la stampa li definiva space-rock) ma poi si orientarono su la disco e più tardi ancora sul pop elettronico (ma solo per esigenze commerciali…secondo me). Insomma alla fine, a guardarli, sembravano quattro stupendi cazzoni sopra un palco ma la loro musica, invece, è sempre piaciuta per questa ritmica attraente, costante e piena di elettronica (“On the road again” un esempio per tutti). Se le davano di santa ragione, musicalmente parlando, con i Kraftwerk (tedeschi): anche loro votati all’elettronica (Massimo Salvau).


I Rockets sono un gruppo che ottenne il maggior successo in Italia a cavallo tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta con brani come “Future Woman”, “Space Rock”, “One More Mission”e soprattutto la reinterpretazione di “On the Road Again”(brano con dei ritmi stupendi) e “Galactica” (vero e proprio tormentone del 1980 che ha permesso loro di vincere il Telegatto come miglior gruppo straniero in Italia). Il loro genere iniziale era rock, definito subito dalla stampa “space-rock” per le venature fantascientifiche dei testi, per le sonorità elettroniche e per l’aspetto scenico. Più avanti venne invece associato alla disco, e infine al pop elettronico (synthpop). Ma come sono nati? A metà degli anni settanta, il produttore francese Claude Lemoine entrò in contatto con un gruppo di giovani e giovanissimi (all’epoca tra i 15 e i 20 anni) che, polarizzati dal sound tipo Led Zeppelin, avevano iniziato a sperimentare sonorità congruenti al Rock Blues ma con qualcosa di diverso. Il gruppo, dopo gli inevitabili assestamenti e cambi di formazione e di nome avvenuti tra il 1974 e il 1976, si consoliderà a partire dal secondo LP (1978) nella formazione composta da Le Bartz, L’Her, Quagliotti, Maratrat e Groetzinger.

Il primo album dei Rockets è l’omonimo lavoro del 1976 (uscito l’anno seguente nel resto d’Europa). Il disco è anche conosciuto familiarmente come Future Woman dal nome del brano-guida, presente in due versioni differenti che aprono e chiudono il disco, o come “Disco Verde”, dal cromatismo prevalente in copertina. Già in quell’anno il loro look spaziale, argenteo e alieno, è completo: usano costumi in lamé di taglio fantascientifico, chitarre e bassi fatti costruire in forma di stella, sole o altri simboli arcani. L’uso del vocoder non è ancora arrivato ma le voci sono già fortemente elaborate in modo da sembrare provenienti da altri mondi, negli spettacoli fanno uso di fumi, luci e pirotecniche non comuni in gruppi di piccolo calibro. L’unico pezzo che viene trasmesso frequentemente in radio è “Future Woman”, ma anche lo strumentale “Apache”, cover di un classico degli inglesi Shadows del 1962. Il resto dell’album è ricco di paesaggi sonori alieni ed anche rockeggianti, ma nessuno degli altri pezzi lascia il segno. Il secondo album (1978) porta il nome del brano che a tutti gli effetti li lancerà nelle classifiche centro-europee: “On the Road Again”. La base è un vecchio pezzo dei Canned Heat, blues band del Sud degli USA, che i Rockets interpretano secondo il loro caratteristico stile, facendone un tormentone disco-psichedelico che vende un gran numero di copie ed è ballato in tutte le discoteche nell’estate 1978. Il resto dell’album è della stessa caratura ma con una novità: la quantità e l’uso degli strumenti elettronici (vocoder, sintetizzatori ed effetti per chitarra) è dominante ed avveniristico. Con questo album il tastierista Fabrice Quagliotti entra a fare parte della band.

La contemporanea uscita di “On the Road Again” dei Rocketz e di “The Robots” eseguita dal gruppo tedesco Kraftwerk (entrambi i pezzi facevano uso della voce modificata con il vocoder) ha fatto sì che i due gruppi venissero accomunati, anche se il loro stile era a larghi tratti differente. Nel 1978 i Rockets, si può dire, “emigrano” in Italia. Il produttore Maurizio Cannici, manager della CGD-Messaggerie Musicali, storica etichetta italiana, si “innamora” di loro dopo aver assistito a una loro esibizione in una discoteca di Cannes e riesce quasi a trapiantarli, con l’effetto che dall’estate 1978 in poi i Rockets saranno presenti in pianta stabile in Italia molto più di quanto non lo siano nella stessa Francia o nel resto d’Europa. L’operazione commerciale di Cannici sortisce ottimi risultati: i Rockets in Italia arrivano subito in TV partecipando a trasmissioni televisive importanti. Le vendite dei dischi, la presenza di pubblico ai loro concerti e sulle riviste sono pari a quelle dei più grandi calibri della musica internazionale. I Rocketz sono oramai un fenomeno musicale assoluto. Per nulla intontiti dal successo, lavorano molto bene, velocemente e in maniera molto competente: nel 1979 esce il loro disco di maggior successo, “Plasteroid”, che aumenta ed espande il lavoro fatto sul disco precedente. Qui la produzione è ancora più decisa: i suoni più ricercati e percussivi, gli strumenti sono di più, meglio suonati e meglio registrati, l’elettronica è quanto di meglio offrisse la tecnologia di quel tempo (gli strumenti digitali non erano ancora disponibili e si lavorava solo in analogico), ma è anche ben calibrata e non ossessiva. Ma è soprattutto il materiale musicale a fare la differenza: poca concessione ai pezzi strumentali rispetto ai vecchi album, ma le canzoni hanno molte colorazioni, sonorità accattivanti e preponderanti melodie, rimangono facilmente in testa e contribuiscono a far vendere l’album ben oltre il disco d’oro e di platino (oltre 1 milione di copie).

I testi, nella stragrande maggioranza, parlano di visioni di un mondo futuro, di possibilità tecnologiche e umane, di desiderio di altri mondi su cui ricominciare. Non ci sono testi d’amore, di introspezione, di denuncia, o altro. Una ragione per la quale parte del pubblico li considera, in ogni caso, un gruppo “leggero”. Un’altra nota va fatta sui numerosi brani strumentali presenti nei loro dischi. È raro che un gruppo di nascita “rock” si dilunghi in brani strumentali, a meno che non siano code o “jam-sessions” alla fine di brani cantati. I Rockets in 5 dischi ne inseriscono addirittura 8 (10 se non consideriamo alcune voci di sottofondo presenti in un paio di brani). Tra il 1979 e il 1980 escono in Italia anche un album dal vivo, “Live” ed il successo continua. Il loro pubblico aumenta e diventa da stadio. Nella primavera del 1980 esce il loro lavoro-culmine, “Galaxy”, un concept album molto ambizioso, in cui il gruppo riversa tutte le energie e potenzialità. Il successo commerciale rimane costante anche per questo disco soprattutto grazie alla main track “Galactica” che imperversa in tutte le discoteche e viene trasmessa quasi quotidianamente per radio. È il culmine anche dei loro concerti dal vivo:”atterrano” ora sul palco con astronavi a forma di uovo in un tripudio di fumo, luci e laser sulle note di “One More Mission”. I Rocketz sono un bel giocattolo che fa soldi ma la decisione scellerata di manager e case discografiche ma soprattutto i gusti musicali che cambiano portarono la band al tracollo.

Il successivo disco dei Rockets, quasi pronto per il 1981, viene rifiutato dalla casa discografica e il gruppo viene forzato a rimettere in discussione look e sound per adeguarsi alle nuove tendenze: finiti i fasti degli anni settanta infatti, la grande riscossa della musica indipendente ha inizio con il punk e soprattutto la New Wave già nel ’77-’78, e giunge ormai a maturità commerciale nel 1980. L’elettronica è più appannaggio di pochi eletti e le sonorità cambiano. Questo creerà grosse diversità di vedute tra i Rockets e il loro management, infatti dopo varie questioni ed incomprensioni con i produttori, la situazione si assesta in una forma ibrida: molte nuove canzoni portano la firma del produttore Lemoine e di altri collaboratori e vengono letteralmente svestiti anche dei loro caratteristici costumi argentei da extra terrestre. Praticamente snaturati. L’album che esce nel 1981, “π 3,14”, è di valore ma il grande pubblico ha ormai spostato l’attenzione sulle produzioni new wave inglesi e il disco non può reggerne il confronto. I suoni più scarni, la produzione più moderna, l’intervento di altri musicisti e le voci femminili non ottengono i risultati sperati. Nel complesso l’album non sconvolge le classifiche e gli show dal vivo si restringono parecchio in dimensioni e in affluenza di pubblico. Lentamente la band sta morendo. Il successivo album “Atomic” (autunno 1982), è l’ultimo album registrato in collaborazione con Claude Lemoine, in cui c’è un ritorno alle sonorità e al look “spaziale”, caratteristica imprescindibile della band: ottiene un certo successo di classifica anche grazie all’ottima hit Radio Station che lo precede in primavera ma, nonostante l’evidente maturità anche a livello di produzione, ormai l’attenzione del pubblico è rivolta altrove: anche i live purtroppo risentono delle grandi difficoltà tecniche e di alcuni sfortunati intoppi. Ufficialmente è la fine del “periodo argentato” e in seguito la band rischierà di finire nel dimenticatoio.

Nel 1984, per la prima volta senza Claude Lemoine, i Rockets, quasi irriconoscibili (Christian Le Bartz è stato sostituito da Sal Solo, inglese, ex new-waver, già cantante dei Classix Nouveaux ed oggi interprete di musica cristiana negli USA), si presentano ancora rapati a zero, però struccati, con gilet gialli hi-tech che poco hanno a che fare con il look “spaziale”, e propongono il pezzo “Imperception”, album di buon riscontro, il cui singolo “Under the Sun” diviene la sigla di chiusura del festival di Sanremo di quell’anno. Ma oramai la band non esiste più con la testa. Non c’è più voglia di suonare dal vivo ed in studio spesso si litiga per decisioni superflue. Nel 1986 la band si scioglie. Seguirà un periodo di silenzio e negli successivi la reunion ma i Rockets non saranno più gli stessi. Gli alieni sono passati di moda musicalmente parlando. Ci rimerrà il ricordo di una band che ha fatto del look, dell’elettronica e dell’appariscenza un punto di forza commercialmente parlando ma come tutti i fenomeni di moda destinati a sparire. Era scritto. Addio Rockets.