Jethro Tull: crocevia tra progressive, folk e hard-rock

Hanno lasciato una discografia tra le più significative, sia quantitativamente che qualitativamente, nella storia del rock


Al crocevia tra progressive, folk e hard-rock, i Jethro Tull del flautista Ian Anderson hanno coniato una formula peculiare. Pochi gruppi possono vantare una longevità e una coerenza artistica come i Jethro Tull, in tal senso secondi solo ai Rolling Stones. Stamattina, nel programma Jethro Tull, in streaming alle ore 11:00 su Radio Sardegna Web, gli special guest della puntata saranno proprio i Jethro Tull (Massimo Salvau)


I Jethro Tull esordiscono discograficamente nel 1968 con This Was, che propone una musica incentrata sulla chitarra di Mick Abrahams ma soprattutto sul flauto di Ian Anderson, già all’esordio leader del gruppo. Il disco è lontanissimo dal progressive che tra l’altro era ancora in gestazione, concretizzando invece un folk-rock dalle tinte blues, con a tratti qualche attitudine hard, caratterizzato dall’uso massiccio del flauto. Il gruppo ha un sound molto compatto ed efficace, ma quello che colpisce fin da subito è la grande capacita e fluidità di scrittura di Anderson. L’anno successivo va via Abrahams e alla chitarra arriva Martin Barre, che da allora sarà l’unico elemento ad apparire in tutte le varie formazioni del gruppo, tanto da diventare l’alter ego del deus ex machina Anderson. Il prodotto della nuova formazione è Stand Up, il primo capolavoro. La musica del gruppo ha un impatto molto forte, coniugando rock viscerale con raffinatezze espressive, lirismo e aggressività. Il flauto di Anderson imperversa in splendidi arabeschi armonici e in clamorosi stacchi che caratterizzeranno tutta le sua carriera, ma è tutto il gruppo ad essere in piena forma. Massiccia ma raffinata la sezione ritmica. Il disco contiene alcuni classici come “A New Day Yesterday”, “Back To The Family”, “Nothing Is Easy” e le ballate “We Used To Know” e “A Reason For Waiting”, ma soprattutto la celeberrima “Bourée” derivata da un pezzo di Bach ma riarrangiata in modo potente ed elegante in chiave quasi jazzata. Il disco ha grande successo ma già il gruppo comincia ad alienarsi, complice anche gli atteggiamenti poco accomodanti di Anderson nei confronti della stampa specializzata inglese. L’anno successivo, il 1970, esce Benefit, disco molto lineare ma di minore impatto rispetto al precedente, strumentalmente molto calibrato ma anche con alcuni pezzi deboli.

Le grandi melodie e gli indimenticabili riff dei Jetro Tull hanno un successo planetario, ma il gruppo non dorme sugli allori e l’anno successivo, il 1972, esce con un doppio celebrativo quasi tutto di inediti (Living In The Past), Thick As A Brick, foriero di nuove mutazioni. Anderson prova la via della suite in un lungo brano, omonimo, di oltre 40 minuti, che iscrive ufficialmente il gruppo al genere progressive. Le tastiere entrano prepotentemente nel sound del gruppo, il flauto assume un ruolo di ricamo più che solistico, il disco è arrangiato superbamente. Nel 1973 esce, dopo lunga e travagliata gestazione, un altro disco contenente un’altra suite, intervallata da un breve intervallo cabarettistico: A Passion Play. Le differenze con il precedente sono più evidenti delle similitudini. A Passion Play è molto più cupo, più faticoso e meno fluido, manca l’effervescenza del precedente lavoro. Gli arrangiamenti sono ricchissimi di sfumature, Anderson riduce il suo estro flautistico per lasciare spazio ad altri strumenti a fiato come il sax. Per la critica, specie quella inglese, è un disco noioso e pretenzioso. Dopo tale gioiello, il gruppo uscirà dagli stilemi del progressive per non rientrarvi più. La gestazione di A Passion Play è faticosa e logorante come logorante è il tour successivo. Anderson è stanco e sempre in lite con la stampa e i risultati si vedono l’anno successivo, quando esce il modesto War Child, con risultati ben poco interessanti. Molti decretano la fine artistica del gruppo quando nel 1975 esce un altro capolavoro, forse l’ultimo, questa volta misconosciuto: Minstrel in the Gallery, disco dominato, almeno nella seconda parte, da parti acustiche contrappuntate dagli archi in brani di grandissima suggestione ( la mini suite “Baker Street Muse”, “Requiem” ).

L’anno successivo esce Too Old To Rock and Roll, Too Young To Die, uno dei dischi più noti ma anche uno dei più banali e raffazzonati. L’album contiene uno dei brani inspiegabilmente più famosi del gruppo, la title track, e sfoggia una copertina che farà da iconografia per i Tull negli anni a venire. Molto meglio il successivo Song From The Wood, uno dei loro dischi più famosi, dove si ritorna prepotentemente ad un hard-folk progressivo con risultati notevoli in alcuni brani. Nel 1978 i Tull suggellano la loro notorietà in un famoso concerto al Madison Square Garden trasmesso, ed è la prima volta, in mondovisione. Nel 1980 la svolta stilistica di A in cui appare per la prima volta un misurato uso dell’elettronica, in linea con i tempi. I risultati però sono deludenti e nell’1982, con Broadsword And The Beast, si torna all’antico con risultati più che discreti. In tale disco esordisce alle tastiere Peter John Vettese, proveniente da un gruppo new wave (i RAF), ma se il suo contributo in Broadsword è minimo, nel disco successivo, Under Wraps, di cui è coautore di molti brani, imperversa, sconvolgendo il sound del gruppo, votato alla modernità, con l’elettronica delle sue tastiere. Peccato che i risultati siano modesti e che il disco risulti uno dei meno convincenti di tutta la produzione. Licenziato Vettese, si ritorna su lidi più consoni con Crest Of a Knave, ottimo disco che contiene due brani destinati a diventare dei classici come “Budapest” e “Farm On A Freeway”. L’album inoltre vince, curiosamente, un Grammy Award come miglior disco di hard rock, pur non essendo un disco di hard rock, ma in tali ambiti, si sa, i giudici non brillano per competenza. La carriera del gruppo prosegue con altri dischi, sempre più radi, sempre con risultati buoni, anche se i capolavori del passato sono lontani. Gruppo invecchiato benissimo, i Jethro Tull non hanno mai battuto i sentieri ispidi dell’avanguardia né preteso di convogliare temi generazionali, ma hanno sempre e solo voluto creare musica e hanno sempre voluto che si giudicasse solo questa. Grazie al talento straordinario di Ian Anderson, personalità anticonformista e scomoda, forse più artigiano che artista, hanno lasciato una discografia che complessivamente è tra le più significative, sia quantitativamente che qualitativamente, nella storia del rock. Gruppo di espressività a volte anche limitata, incapace di creare passaggi sonori di un certo livello però hanno concretizzato un corpus musicale straordinariamente ricco di inventiva e talento. Questi sono i Jethro Tull.